TOMMASO GARAVINI

3 / 9 Luglio 2008



 

Tom Tom

Un lampo.
Non di liberazione positiva, assoluta, bensì di massima tensione, prima della lacerazione.
Quelle a cui ci pone di fronte Tommaso Garavini sono cristallizzazioni di una figura umana svuotata, chiusa in sé stessa, e proprio per questo così sconvolgente e fastidiosa per lo spettatore.
Le immagini, elementari, quasi archetipi, sono cariche di un fastidio non nuovo alla cultura figurativa di un certo Espressionismo ben piantato sulle sue radici di consapevole e spiazzante criticità.
Ecco allora che di quel clima riaffiora la dimensione di un teatro corrosivo e drammatico su cui si affacciano improbabili personaggi chiusi in un mutismo di occhi prima che di parole, segnati da membra contorte affacciate su una dimensione drammaticamente emotiva.
Ancora, c’è il Kokoschka tragicamente introspettivo dei manifesti, l’esperienza interiore di Schiele, il Munch delle Madonne eteree e molto Surrealismo sognante di figurine fantastiche nelle opere di Garavini.
Il tutto comunque rigorosamente trasportato nella dimensione attuale, in quel lampo che ce ne fotografa la raffinatezza, l’incisività del segno e ci lascia addosso un senso di tensione difficile da eliminare.
Anche il colore in questa dimensione perde il suo valore puramente descrittivo e diviene funzionale all’evocazione di stati d’animo concorrendo ad esaltare stati della mente eccitati ed eccessivi.
Ciò che, in ultima analisi di Garavini ci resta è la consapevolezza  di essere spettatori di un Teatro in cui l’intensità emotiva sta per portare alla massima deflagrazione.
La sensazione profonda, di base, è che Garavini non voglia risparmiarci niente di ciò che stiamo per vedere. Siete pronti a guardare?

Fabrizia Bettazzi