RAFFAELLO GORI

30 Gennaio / 20 Febbraio 2010



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Opere MCM74/84 - MM08/09

Togliere. Levare. Per poi Rimettere. Riempire.

I lavori di Raffaello Gori datati agli anni ’70 e oltre si interrogano su una possibilità. Ci interrogano sulla visione. Si gira la tela, la si guarda da un’altra prospettiva. Lo si fa in questi anni di “guerriglia”, di profonde riflessioni sul senso del “fare arte”, interrogando ogni aspetto costitutivo dell’opera stessa: telaio, chiodi, fibre, sono scardinati, de-localizzati in una riflessione che ricostituisce l’oggetto-quadro esaltandone le componenti. Gori va oltre questo primo processo auto-riflessivo della pittura: il quadro è contemporaneamente davanti e dietro, foriero di visioni ambi/valenti, bi/laterali.

All’ingresso della personale dell’artista pratese nello spazio Lato, una doppia visione: ci salutano due lavori, grandi veline, che lo spettatore può letteralmente “vivere” nelle tre dimensioni dello spazio. I due teli, eterei, ricordo di un’ arte ambientale coinvolgente, circondano chi le esperisce, pronte all’accoglienza dello spettatore.

Bianco. Plastica. Pittura. Bianco. Trasparenze. Opacità.

Indagano nuove possibilità i lavori di Gori. Le possibilità dell’opera d’arte “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” per dirla insieme al sempre fondamentale Walter Benjamin. I materiali usati, plastiche, supporti presi in prestito dalla serigrafia, veline, quasi sempre celano sotto la loro superficie il simulacro dell’opera. Intuita, intuibile, quest’ultima si palesa a noi per sottintesi, tramite un diaframma che ne accentua ancora di più il valore disvelante. Il nuovo supporto, doppiato sul sottostante, contribuisce ad un’atmosfera, nebulosa, ma non per questo priva di significato.

L’opera riacquista l’ “aura”, perduta in un senso antico e riacquisita in una dimensione a noi forse più congeniale, alimentata da una moderna rarefazione. E nella rarefazione Gori non si dimentica il valore artigianale del lavoro. Dai cartoni, dipinti, segnati profondamente dalla materia pittorica, affiorano suggestioni sognanti, memori di Novelli e Twombly, atmosfere surrealiste che lasciano venire in superficie “automaticamente” elementi da un altrove che è l’immaginario personale dell’artista.

Nell’incertezza della visione, che sembra ricerca di un’essenza non ancora manifesta, Gori affonda le mani nella materia, certamente meno tormentata che in certe plastiche o cretti alla Burri, ma sicuramente non meno asseverativa.

Plastica e supporti si caricano attraverso l’uso sapiente del colore di nuova spiritualità: c’è uno sguardo ammirato ad un passato di ricerca suprematista, a Rothko, ma ancor prima a Malevič, grande trasfiguratore di emozioni pittoriche che affondano le proprie radici nella realtà delle cose. Raffaello Gori chiude un cerchio, completando nel suo personale iter questa ricerca altissima.

Fabrizia Bettazzi