13 Dicembre 2011 / 7 Gennaio 2012
FARELUME
Quattro artisti. Pratesi di nascita o d'adozione.
Si confrontano sul concetto, su un'esperienza di Luce.
Per entrarci dentro, per camminarci attraverso, per sentirne il calore.
E' un filo sottile da seguire, un percorso ininterrotto di elettricità, fuoco, immagine, che percorre gli
spazi di Lato. E' anche una risposta che ogni visitatore potrebbe ad un certo punto trovare.
CHIARA BETTAZZI. http://www.chiarabettazzi.com/
Cosa sta dietro ad una consuetudine?
Chiara Bettazzi indaga le pieghe di un'esistenza femminile intima, in sordina, timida perché custodita
gelosamente dall'artista come da un guardiano di ricordi.
L'immagine è connessa al rapporto con il corpo che la abita, la rielabora, la rende accessibile.
I frammenti del vestito sono ricordi che affiorano dalla memoria di chi li ha scelti, sono resi organici da
un liquido, un'acqua di consistenza quasi amniotica.
Ci viene spalancato un micro universo, un minuscolo ecosistema, in cui i suoni divengono edulcorati,
ovattati perchè relazionati all'intimità della visione.
L'oggetto, sia esso vestito (Items found) o apparato medico (Medical), come nella seconda installazione
realizzata, è "in funzione" del corpo che lo fruisce.
La luce lo attraversa rendendoci accessibile una visione privilegiata: senza di essa la creazione non
sarebbe avvenuta, l'indagine nelle pieghe dei ricordi non avrebbe potuto svilupparsi.
STEFANO BRUSCHI.
In Vivente Stefano Bruschi si muove in una ricerca fra due polarità irrisolte la cui tensione è elemento di
forza dell'opera stessa.
L'astratto tende all'organico, lo cerca e sulla sua strada lascia forme dal grande potere evocativo.
L'artista lavora con calchi di gesso ceramico plasmando il negativo da un originario positivo.
Il calco in negativo è funzionale alla ricerca di una materia in cui affondare le mani: è la parola che
l'artista imprime, "vivente", a renderlo organismo, ad innescare nuove possibilità di interpretazione.
Ci ritroviamo complici di un gioco di visioni molteplici di fronte al susseguirsi di particolari, forse parti
di corpi, che la luce contribuisce ad indagare con scrupolosità: è quest'ultima che rende materia viva
ciò che inizialmente non lo era.
E' la luce di una cerimonia laica, che trova la sua dimensione in tabernacoli e altari che accolgono le
opere.
MANUELA MENICI. http://manuela-menici.tumblr.com/
Salendo le scale c'è bisogno di fare lume.
Per non inciampare, per non smarrire la via.
Gli assemblaggi di Manuela Menici possiedono le caratteristiche delle più buffe figure di un teatrino
fantastico.
Manuela crea un oggetto dalla doppia identità, di giorno rivitalizzato dalla luce naturale che attraversa
le cromie dei cristalli, di notte pervaso da una luce interna artificiale che dà vita a personaggi di
fantasia.
Nel lavoro di Manuela queste presenze, reali, ingombranti, sono affiancate da altre, eteree, quasi
fantasmatiche, che nel video trovano una dimensione ideale (Il luminare, lavoro a quattro mani con
Virginia Zanetti).
L'artista indaga due diverse tipologie di illuminazione, una ludica intrecciata al design d'interni, l'altra
evocativa, indefinita, che custodisce gelosamente una fiamma: lo schermo è il recinto, la scintilla deve
essere custodita per non perdere l'accesso al calore, alla pulsazione vitale.
VIRGINIA ZANETTI. http://www.virginia-zanetti.com/
Virginia Zanetti si presenta con un video Il luminare, tenta di instaurare una relazione tra lo spazio
urbano e quello naturale, esplora gli interstizi tra varie marginalità, nello specifico tra un fiume e la
periferia della città, tra la vita che esso contiene e la luce artificiale. Il video è concepito come un
dialogo con questo spazio di confine attraverso la luce. Il divenire, il cambiamento, può diventare
alfabeto comunicativo, casuale ed imprevisto solo in apparenza.
Al piano superiore, Virginia crea per Lato un ambiente site specific. Il visitatore diventa attore, viene
coinvolto nell'interazione con l'opera da cui è letteralmente inglobato.
È un passaggio, dal fuori al dentro. Tarika dà risposte, se interrogata, soddisfa il bisogno di
conoscenza primario che anima chi vi si accosta: la risposta è già dentro noi stessi, il simbolo non è
che un espediente per mostrare il nostro grado di coscienza.
Lo spazio dell'incontro è delimitato, crea una necessaria separatezza.
Dentro, una scoperta fatta di ascolto e risposta.
Virginia sfrutta l'oscuro, l'ignoto, che diventa tramite verso la scoperta di una luce sia fisica quanto
interiore e che appaga un interrogativo: è la domanda che diventa risorsa per il processo creativo
dell'artista.
Fabrizia Bettazzi