Distances

7 Marzo / 2 Maggio 2015



http://www.artribune.com/2015/04/declinare-le-distanze-fra-prato-e-parigi/

http://atpdiary.com/distances-prato-e-parigi/

http://www.iogim.com/gallerie/distances/





a cura di:
Matteo Innocenti – IT / DERIVA (Valeria Cetraro e Edouard Escougnou) – FR /

un progetto con LATO, Prato e Galerie See Studio, Parigi
con il patrocinio del Comune di Prato
in collaborazione con l’Istituto Francese di Firenze e Interno/8 – Artforms, Prato
media partner PMG, Firenze

Uno scambio tra artisti, curatori e luoghi sviluppato in forma di dialogo in un anno di tempo, tra Prato e Parigi, e che si conclude con due residenze, due mostre, una pubblicazione.



DISTANCES

Un progetto di scambio tra Prato e Parigi - Residenze/esposizioni/pubblicazione

Frieze, Issue#33 di Emanuele Becheri considera il passaggio temporale attraverso il confronto tra due copie identiche della rivista d’arte – copie casualmente trovate e “disotterrate” dall’artista durante una residenza londinese; pur originati dalla medesima condizione i segni presenti sulla carta rivelano differenze: variazione che rende interamente la complessità del trascorrere, in ciò accordandosi, come una citazione appropriata, alla biografia esasperata della serie in copertina Date paintings di On Kawara.
La questione della scomparsa delle immagini, in questo caso derivata dalle manipolazioni degli artisti, ricorre nell'operadi Pia Rondé e Fabien Saleil. Trama esplora la nozione della distanza attraverso la questione dello spostamento: quest’ultimo diventa motore del processo creativo interno all’immagine, ed al medesimo tempo costituisce la condizione necessaria alla comprensione ed alla lettura dell’opera, per la sua dimensione cinetica e frammentata. Figure enigmatiche appaiono in un fluire scandito dalla successioni di luci ed ombre, materie prime nel lavoro dei due artisti.
La stratificazione di tempo si avverte anche nelle sculture Traccia di T-Yong Chung. Realizzate con la tecnica tradizionale dell’anima in argilla coperta di gesso, col negativo poi riempito di cemento, per arrivare a delle forme “fossili” che si situino tra gli estremi del passato e del futuro. Da una parte l’armonia sinuosa della creazione artistica, dall’altra le irregolarità superficiali di ciò che in natura non è mediato: infine le due opere, pur autonome, sono poste in rapporto di attrazione all’interno dello spazio espositivo.
L’interesse alla materia – alle sue composizioni, qualità, contaminazioni – generalmente presente nella ricerca di David Casini, con Sessantottomilametri viene declinato alla geologia tramite la selezione di una serie di pietre e marmi che si trovano nel percorso dal Valdarno (luogo di nascita dell’artista) a Prato. Marmo verde, Paesina, Serena, pietra di fiume arno, la texture di ognuna di queste viene riportata su carta piegata secondo la tecnica tradizionale cinese Zhe Zhi, ottenendo delle forme geometriche di apparenza densa ma in verità leggerissime, tanto da poter essere sostenute da una filiforme struttura in ottone.
In un processo di rimandi tra materiali, come per esempio quello tra il legno ed il marmo, l’opera Latente di Jessica Boubetra si dà come frammento dislocato, in aspettativa di poter coesistere con il suo insieme di appartenenza, ovvero la scultura che sarà presentata nell’ambito della mostra di Parigi.
Giovanni Kronenberg prosegue un discorso  sul rapporto tra l’elaborazione artistica e le caratteristiche ergonomiche presenti di per sé nel mondo naturale, con un grande disegno a grafite: elemento immaginativo e organico vengono quasi a fusione, al modo che accadrà anche per la scultura presentata nella mostra parigina. Così i termini della distanza divengono anche occasione per una riflessione analitica interna alla propria ricerca.
La grafite ancora, è la materia strumento per un atto di (im)possibile delimitazione. Un’altra linea di Serena Fineschi consiste in una serie di monconi quale segno minimo a livello del terreno, seguendo l’architettura, come un orizzonte disegnato o scultoreo; ed è la stessa materia che le servirà a Parigi, nell’arco di vari giorni, per tracciare una linea continua sulle pareti dello spazio espositivo, cercando di colmare la distanza che separa le due città in relazione. 
Partendo da tracce lievi su carta, con matita, fissativo, incenso, Marco Andrea Magni sviluppa un discorso insieme musicale e scultoreo con A cielo aperto; il canto del regolo, passero di piccole dimensioni, trasposto in note musicali per pianoforte, si diffonde nello spazio provenendo da una zona non rivelata, divenendo richiamo per il percorri mento di tutta la mostra.
Walking on the water è un ciclo di progetti di Virgina Zanetti sulle possibili definizioni del miracolo e dell’utopia, attuato per la prima volta nel 2013 come azione di camminamento lungo la faglia che idealmente collega, attraverso il mare, Ancona ai Balcani. Il video e una precisa foto di quell’esperienza, divenuti elemento fondamentale del dialogo intercorso tra gli artisti di Distances, si sono caricati di una serie imprevista di significati inerenti la distanza, tra cui la partecipazione, il tentativo, la riuscita e il fallimento, la provenienza, la reciprocità.  
Generating Green Noise e TheBackgroundNoiseOfTheWorld sono due dispositivi per dare una visibilità possibile alla presenza continua della Terra: se per la precedente mostra 8+1 l'installazione consisteva nella somma di vari rumori, ognuno associato a un colore, per arrivare al rumore verde, quello primario del nostro pianeta, la nuova installazione è un vinile con registrata quella stessa emissione presso Lato: è dunque il suono dello spazio stesso della mostra. Così l’incisione a parete, derivata dall’elaborazione grafica tridimensionale di tali sonorità, si offre come paesaggio visivo di un respiro universale.    
I lost my way di Audrey Martin et Muriel Joya interroga la possibilità di dare materia ad un cammino potenziale o forse gia concluso. L’accumulo di magnesite diventa l'impalpabile e fragile espressione di una traiettoria che scompare al momento stesso in cui si cerca di afferrarla. Seguendo la stessa dinamica, attivando un paesaggio di apparizioni latenti, sulle tracce di Galileo Audrey Martin e Muriel Joya finiscono per rovesciare le stelle (Renverser les étoiles) . Giocando sull’ambiguità delle apparenze, le due artiste confondono le piste delle proprie ricerche, attraverso l’annullamento di una distanza tanto spaziale che temporale.